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224 il morgante maggiore.

74 E disse a lor che toccassin la mano
     A Ulivier, perch’egli è buon compagno;
     E com’egli era un famoso Cristiano,
     De’ primi paladin di Carlo Magno;
     Ma l’uno e l’altro gigante villano
     Gli fece prima uno sguardo grifagno,
     E con un atto superbo piegossi,
     E con fatica alla mano accostossi.

75 Ulivier rise, e guardò in viso Antea;
     Ed alzò quanto può la mano in suso,
     Acciò che Fallalbacchio non sel bea,
     S’egli avessi più giù chinato il muso,
     Perchè la bocca d’un forno parea;
     E disse: Io son co’ giganti pur uso;
     Ma questi sono, Antea, sì smisurati,
     Che non mi paion bacalar da frati.

76 Non bisognava con questi Nembrotto
     Facessi, per toccare il ciel, la torre,
     Chè bastava l’un sopra e l’altro sotto,
     Se si potessi in su le spalle porre;
     Ma non l’arebbe un argano condotto:
     E perchè insieme ragionare occorre,
     Se vuoi ch’io dica, mandagli via tosto,
     Chè bestiame mi par da star discosto.

77 E poi che molte cose furon dette,
     E partiti costor, disse il Marchese:
     Dunque tu vieni in fin, per far vendette
     Del gran Soldan, se le parole ho intese:
     Io non voglio allegarti un ben gli stette,
     Chè il vero a tutto il mondo fu palese,
     Perch’e’ m’increbbe di vederlo morto;
     Ma sai ch’egli ebbe della guerra il torto.

78 E Ricciardetto ed io mancò per poco
     Che da lui non avemmo ingiusta pena;
     Tu eri a Montealbano in festa e ’n gioco,
     E noi stavamo in carcere e in catena,
     Sanza speranza, in tenebroso loco,
     Dove lume non vien, se non balena:
     Non parve opera degna del Soldano,
     Sendo pur paladin di Carlo Mano.