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canto ventesimoterzo. 207

49 Ricciardetto, ove t’ho io lasciato?
     Tu non sai, lasso, del futuro ancora:
     Omè ch’io veggo il mondo avviluppato!
     Un serpente esce della terra fòra
     Con sette bocche, e fuoco arà gittato,
     E molta gente con esse divora:
     Farà tremar le mura di Parigi,
     E Montalban, che v’è sol Malagigi.

50 Non creder vendicato il Veglio sia;
     Ben surgerà di lui qualche rampollo,
     E tanta gente per lui morta fia,
     Ch’ognun di sangue si vedrà satollo;
     Andrà sozzopra tutta Pagania.
     Io sento già della rovina il crollo,
     E fia sentito insin giù d’Acheronte,
     Perchè spianar si vedrà più d’un monte.

51 Parrà che in Giusaffà dica la tromba:
     Venite tutti all’eterno giudicio,
     Uscite del sepulcro e della tomba,
     Recate il bene scritto e ’l malificio;
     Omè già negli orecchi mi rimbomba!
     Io veggo rovinare ogni edificio,
     Nè pietra sopra pietra rimanere,
     Tanto che Giove potrebbe temere.

52 Veggo i lioni uscir delle spilonche,
     E tigri, e l’altre fiere aspre arrabbiate,
     E tante lance andar per l’aria tronche,
     E pianger le fanciulle scapigliate;
     Uscir gli spirti delle infernal conche,
     E degli abissi l’anime mal nate:
     Tu ti darai ancor pace, omè meschina
     Gerusalem, se ’l tuo Sion rovina.

53 Io veggo tutta in arme Babillona
     E gli stendardi già levati al vento;
     Non è contenta Antea della corona,
     Non è del padre suo lo sdegno spento:
     Già mosso è il campo, e la tuba risuona:
     O Carlo, presto sarai in gran tormento:
     O Dio, la terra già triema e l’abisso,
     Credo tu sia di nuovo crucifisso.