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canto ventesimoterzo. 205

39 L’un sopra l’altro a traverso giù balza:
     Non si fe’ mai di bestie tanto strazio,
     Tanto che ’l sangue alle cigne quivi alza,
     E pur Rinaldo non pare ancor sazio:
     Già per fuggire era piano ogni balza,
     Ma non avevon con lui tanto spazio:
     E Fuligatto assai n’avea distrutti,
     Tanto che morti o fuggiti son tutti.

40 E poi che fu la battaglia finita,
     E Fuligatto una vesta vedia
     Ch’avea Pilagi, ed halla a sè vestita,
     Che in campo bianco un lion nero avia;
     Rinaldo tanto gli parve pulita,
     Ch’un’altra presto per sè ne volia:
     E lascian questa gente morta e afflitta,
     E ritornorno alla lor via diritta.

41 Tutto quel giorno cavalcato avieno
     Per boschi, per burron, per mille chiane,
     E non s’avevon messo nulla in seno:
     Saltato in aria arebbono ad un pane,
     Chè vi vedean come l’arco baleno
     La fame: in questo e’ senton due campane,
     E scorson dalla lunga un romitoro,
     Che non facea mai festa sanza alloro,

42 Più tosto sanza pane o cacio o carne;
     De’ pesci avea, ch’egli sta sopra un fiume:
     Al romitoro si studiano andarne,
     Chè per la fame non veggon già lume;
     Parranno loro i pesci più che starne;
     La porta bussan, come era costume:
     Venne un romito e disse: Ave Maria.
     Disse Rinaldo: Se del pan ci fia;

43 Se non, lodato sia quell’agnol nero.
     Disse il romito: Sète voi Cristiani?
     Disse Rinaldo: Questo abbi per vero;
     Aresti tu da darci almen due pani?
     Per Dio, romito, ch’abbiamo il sentiero
     Per questi boschi smarrito sì strani.
     Disse il romito: Di voi assai m’incresce,
     Ch’io non ci ho pan, ma e’ ci sarà del pesce.