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canto ventesimosecondo. 187

224 E ’nginocchiossi, e baciògli le piante.
     Rinaldo co’ compagni se ne vanno
     Nella città che vi sta l’Ammirante,
     E giostre e feste alla piazza si fanno;
     E molto ben si portava un amante
     D’una fanciulla; a veder quivi stanno:
     Questa era molto bianca e molto bella,
     E molto bruna un’altra, sua sorella.

225 E come bruna, si chiama Brunetta:
     Adunque il nome suo non si disdice;
     Quell’altra è bianca e pare un’angioletta,
     E molto il dì si chiamava felice,
     Perchè il suo amante ognun per terra getta,
     E la sorella rincorreva, e dice:
     Non c’è per te chi rompa due finocchi,
     E ’l drudo mio d’ogni lancia fa rocchi.

226 Diceva la Brunetta sventurata:
     Che colpa ho io di quel che fe natura,
     E s’io non nacqui bella e fortunata?
     S’io avessi avuto a far questa figura,
     Io mi sarei per modo disegnata,
     Che scultor nol farebbe o dipintura:
     Ringrazia Dio che degli amanti truovi,
     E presso ch’io non dissi, anco gli pruovi.

227 Io vi conforto della giostra, amanti,
     E la Brunetta vi torni a memoria;
     Io vi ricordo e dico a tutti quanti,
     Che con la lancia s’acquista vittoria,
     E fassi spesso colpi di giganti,
     E ch’ogni dama del suo drudo ha boria,
     E piace insin da Campi a Mona Onesta
     Ch’e’ tenga ben la lancia in su la resta.

228 E detto questo, gittava il falcone
     Verso Rinaldo, e pargli molto bello;
     E ricordossi d’una visione,
     Che fatta avea, ch’un peregrin novello
     Ognun quel giorno abbatteva d’arcione;
     E disse fra suo cor: Costui fia quello;
     A un suo balio lo fece chiamare:
     Di’ a quel peregrin, ch’io gli ho a parlare.