44 Mangiava una scodella di tartufi
Rinaldo, bene acconcia in un guazzetto:
Non si pensò che costui gliela grufi;
Questo buffon gliela ciuffò di netto,
E non si vuol calar perch’egli strufi,
E succiala, e la broda va in sul petto:
Rinaldo si crucciò con questo matto
Di perder la profenda11 e di quell’atto.
45 Corsegli addosso come un bertuccione,
E disse: Io ti farò schizzar la micca,
Tu se’ pazzo malvagio e non buffone;
Ed una pesca nel capo gli appicca,
Per modo che sel pose appie’ boccone,
Che con l’orecchio una tempia gli spicca:
Donde il signor rizzossi iratamente,
Chè come savio non fu paziente.
46 E disse: C’hai tu fatto, poltoniere?
Dunque tu batti la famiglia mia?
È questa usanza di buon cavaliere?
Tu mi ristori della cortesia!
Disse Rinaldo: Io gli ho fatto il dovere,
Orlando disse al fratel villania:
Rinaldo aveva alzata già la mano,
Per far come al buffone al re pagano.
47 Diliante ebbe infine pazienzia,
E disse: Io vo’ che in pace desiniamo;
Poi, desinato, per magnificenzia,
Che insieme in su la piazza ci proviamo,
Poi che tu m’hai sì poca reverenzia,
E la pazzia del capo ci caviamo.
Rinaldo rispondea: Pur tosto all’aste:
Ch’aspettiam noi più qui? le pere guaste?
48 Disse il Pagano: Ogni volta fia tosto,
Basta che di giostrar tu se’ contento;
E’ ci ha forse a venire ancor l’arrosto:
Vo’ che ’l convito anco abbi compimento
Per riverenzia di que’ ch’io ci ho posto.
Diceva Orlando: Alla giostra io consento,
Ch’io so che tu se’ uom possente e magno;
Nè anco spiaceratti il mio compagno.