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canto ventesimosecondo. 151

44 Mangiava una scodella di tartufi
     Rinaldo, bene acconcia in un guazzetto:
     Non si pensò che costui gliela grufi;
     Questo buffon gliela ciuffò di netto,
     E non si vuol calar perch’egli strufi,
     E succiala, e la broda va in sul petto:
     Rinaldo si crucciò con questo matto
     Di perder la profenda11 e di quell’atto.

45 Corsegli addosso come un bertuccione,
     E disse: Io ti farò schizzar la micca,
     Tu se’ pazzo malvagio e non buffone;
     Ed una pesca nel capo gli appicca,
     Per modo che sel pose appie’ boccone,
     Che con l’orecchio una tempia gli spicca:
     Donde il signor rizzossi iratamente,
     Chè come savio non fu paziente.

46 E disse: C’hai tu fatto, poltoniere?
     Dunque tu batti la famiglia mia?
     È questa usanza di buon cavaliere?
     Tu mi ristori della cortesia!
     Disse Rinaldo: Io gli ho fatto il dovere,
     Orlando disse al fratel villania:
     Rinaldo aveva alzata già la mano,
     Per far come al buffone al re pagano.

47 Diliante ebbe infine pazienzia,
     E disse: Io vo’ che in pace desiniamo;
     Poi, desinato, per magnificenzia,
     Che insieme in su la piazza ci proviamo,
     Poi che tu m’hai sì poca reverenzia,
     E la pazzia del capo ci caviamo.
     Rinaldo rispondea: Pur tosto all’aste:
     Ch’aspettiam noi più qui? le pere guaste?

48 Disse il Pagano: Ogni volta fia tosto,
     Basta che di giostrar tu se’ contento;
     E’ ci ha forse a venire ancor l’arrosto:
     Vo’ che ’l convito anco abbi compimento
     Per riverenzia di que’ ch’io ci ho posto.
     Diceva Orlando: Alla giostra io consento,
     Ch’io so che tu se’ uom possente e magno;
     Nè anco spiaceratti il mio compagno.