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146 il morgante maggiore.

19 E rispose: Di questo menti tu,
     Rinaldo, ch’io son nuovo a questo fatto;
     Quanto è che di prigion cavato fu’?
     Disse Rinaldo: Tu non parli a matto,
     Tu tel vorresti un giorno beccar su
     Quel Montalbano, e faravi un bel tratto;
     Ma sia che vuole, al dito legherati,
     Ch’io nacqui per punir i tuoi peccati.

20 Io vo’ giucar più oltre ch’uno scotto,
     Che la venuta di Calavrione
     Ogni cosa ha questo fellon condotto,
     Non che di Montalbano e di Grifone.
     Diceva Orlando: Tu se’ troppo rotto,
     E’ non si vuol così chiamar fellone;
     Tu non sai ancor come la cosa stia,
     E siam pur tutti insieme in compagnia.

21 Gan s’appiccava alle parole allora;
     E diceva: Rinaldo, tu se’ uomo,
     Ch’io non ti posso conoscere ancora;
     Ma ’l tempo ti farà cogli altri domo;
     Di ciò che contro a me tu ti dica ora,
     Io non te ne farei sull’erba un tomo:
     So che tu parli quel che ti vien detto,
     E basta solo a me di viver retto.

22 Se i Maganzesi a Montalban saranno,
     Io sarò il primo che gli vo’ punire,
     E Grifonetto, s’egli ha fatto inganno,
     Con le mie mani il cuor gli vo’ partire,
     Però ch’a me questa vergogna fanno;
     Ed ho disposto insino al mio morire
     Esserti amico fedel, giusto e buono,
     Chè tu sai ben se obbligato ti sono.

23 Non son più Gan, che pel passato fui,
     Che ’l tempo m’ha tarpate in modo l’ale,
     Ch’io mi comincio accordare or con lui,
     Però ch’io sono ogni giorno mortale:
     E che poi altro se ne porta altrui
     Di questa vita, se non bene e male?
     Bene è cattiva frutta acerba e dura
     Quella che ’l tempo mai non la matura.