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canto ventesimoprimo. 129

112 Orlando i colpi allor misura e ’nsala,
     Però ch’a mal partito si vedea:
     Ecco il grifon che per l’aria giù cala
     Con tal furor che non si conoscea
     Se fussi un vento o pure uccel con l’ala;
     E un lion, che più pressa facea
     Al conte Orlando, cogli unghion ghermia
     Agli occhi, tal che schizzar gli facia.

113 Questo lion dalla zuffa si spicca:
     Orlando un altro col brando n’uccide,
     E poi col quarto il grifon si rappicca
     Per aiutar Orlando, e in aria stride;
     E poi in un tratto gli artigli gli ficca
     Nel capo, e strinse, insin che morto il vide,
     Chè gli cacciò gli unghion fino al cervello:
     Adunque buono amico è questo uccello.

114 Non si perdè servigio mai nessuno:
     Servi qualunque, e non guardar chi sia,
     Dice il proverbio; e stu disservi alcuno,
     Pensa che a tempo la vendetta fia;
     Ma semina tra’ sassi o sotto il pruno,
     Sempre germuglia al fin la cortesia;
     E noti ognun la favola d’Isopo,
     Che il lion ebbe bisogno d’un topo.

115 Vuolsi servire insino agli animali,
     Chè qualche volta merito si rende,
     Come dicono i detti de’ morali,
     E fassi schiavo chi il servigio prende,
     E tanto è degno più, quanto più vali;
     Sempre il servigio il cuor d’amor raccende,
     E vien da generoso animo e magno,
     E torna al fine a casa con guadagno.

116 Quel lion cieco il grifon non l’offese
     Per gentilezza, e così fece Orlando;
     E finalmente le grande alie stese,
     E dipartissi per l’aria volando:
     E così il suo cammin Orlando prese,
     Astolfo pure all’usato cercando;
     E cavalcando giorno e notte questo,
     Giunse a Corniglia, abbreviando il testo.