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canto ventesimoprimo. 117

52 Orlando ed Ulivier si riprovorno,
     E gli altri, se potessino ammazzalla,
     E molti colpi alla donna menorno;
     Ella rideva, e ’l lor pensier pur falla:
     Alcuna volta alla porta n’andorno:
     Quivi persona non era a guardalla;
     Ma per se stessa, come ignun s’accosta,
     Si riserrava ed apriva a sua posta.

53 Dunque e’ si reston pur drento al castello,
     Ognun da questo error molto confuso.
     Intanto Malagigi lor fratello,
     Gittando l’arte un giorno com’era uso,
     Vide e conobbe finalmente quello,
     Come Rinaldo suo si sta rinchiuso,
     E che questo è per forza di malía,
     E subito a Guicciardo lo dicía.

54 Ed a Parigi presto a Astolfo scrisse,
     Che subito venissi a Montalbano;
     Astolfo per camin tosto si misse,
     Tanto che tocca a Malgigi la mano:
     Quale ogni cosa di punto gli disse,
     Ed accordârsi tutti a mano a mano,
     Guicciardo, Alardo, ire a trovar costoro;
     Per la qual cosa Antea volle ir con loro:

55 Dicendo: Io rivedrò Rinaldo mio.
     E poi che molti giorni sono andati,
     Anzi volati, come fa il disio;
     Tre cavalier pagani hanno scontrati,
     E salutârsi nel nome di Dio:
     L’un di costor, come e’ si son trovati,
     Guardava pur d’Astolfo il suo cavallo,
     E non si vergognò di domandallo.

56 Era chiamato il Saracin Liombruno,
     Nipote di Marsilio re di Spagna;
     E dice: Mai caval non vidi alcuno,
     Che non avessi in sè qualche magagna,
     Salvo ch’io n’ho pure oggi veduto uno,
     E ’ntendo che con meco si rimagna.
     Diceva Astolfo: Odi pensier fallace!
     Quanto più il lodi, tanto più mi piace.