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canto ventesimoprimo. 107

2 I forestieri e tutti i terrazzani
     Ognun si rappresenta in su la piazza.
     Era a veder la ciurma de’ Pagani
     Cosa parte mirabil, parte pazza:
     Mai non si vide tanti uomini strani,
     Di tante lingue e d’ogni nuova razza;
     Disse Rinaldo: In piazza ce n’andiamo,
     E tutta questa gente sbaragliamo.

3 Mettono in punto l’arme e’ lor destrieri;
     Lo ’mperador fa intanto diceria:
     Chi si vanta di voi, buon cavalieri,
     Di vendicarmi della ingiuria mia,
     Io gli darò città, che fieno impèri,
     E sempre arà di qua gran signoria,
     Gente e tesoro, a tutte le sue voglie,
     E la mia figlia sposerà per moglie.

4 Levossi ritto il gran Can di Gattaia,
     E disse: Io sarò quello, imperadore;
     Che s’io dovessi ucciderne a migliaia,
     Al conte Orlando vo’ cavar il cuore;
     E così gli altri ognun si vanta e abbaia
     Uccider pure Orlando il traditore:
     Ed alza il sangue in parole due braccia,
     E chi più teme è quel che più minaccia.

5 Rinaldo in su la piazza il primo viene.
     Can di Gattaia, come l’ha veduto,
     Disse: Baron, s’io ti conosco bene,
     Ch’al soprassegno t’ho riconosciuto;
     Per Macometto, ancor rider mi tiene,
     Che tu credevi e’ ti fussi creduto,
     A chieder soldo con quattro poltroni
     A misura di crusca o di carboni.

6 Disse Rinaldo: S’io chiesi per cento,
     A questa volta io ne vo’ due cotanti;
     E s’egli è ver quel che da molti sento,
     Tu se’ fra questi il primo che ti vanti
     Di far tante vendette o fumo o vento;
     Se vuoi giostrar con meco, fàtti avanti.
     Can di Gattaia, come questo intese,
     Turbato tutto, una gran lancia prese.