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canto ventesimo. 103

102 E fu da tutto il popol commendato:
     Quivi lo pose a giacere in sul letto,
     E il polso in ogni parte ha stropicciato,
     E così fa il Marchese e Ricciardetto;
     Tanto ch’al fin s’è tutto risvegliato
     A poco a poco questo giovinetto;
     E risentito caramente abbraccia
     Rinaldo e ’nsieme si baciorno in faccia;

103 E chieson l’uno all’altro perdonanza.
     Orlando ponea mente una sua spada,
     Come di cor magnalmo è sempre usanza,
     Veder com’ella pesa, o s’ella rada:
     Pargli che sia da uom d’alta possanza,
     E di vedere il pome poi gli aggrada:
     Guardando il pome, letter vi vedea,
     E per diletto queste anco leggea.

104 Le lettere dicien, come costui
     Era nato del sangue di Chiarmonte;
     Il perchè Orlando ritornava a lui
     Al letto, e domandò con umil fronte,
     Se si ricorda degli antichi sui,
     Come dicevon le lettere pronte:
     Che gliel dicessi, se ’l priego era onesto,
     Chè sol per ben di lui vuol saper questo.

105 Egli rispose: Gentil cavalieri,
     La madre mia chiamata è Rosaspina,
     Ed io mi chiamo per nome Aldinghieri,
     E generommi, dice, alla marina:
     Del padre mio non ho i termini interi,
     Perchè e’ non fu di stirpe Saracina;
     Ma quel che inteso n’ho dalla mia madre,
     Da Rossiglion Gherardo fu il mio padre.

106 Per che cagione tu vuoi ch’io tel dica,
     Non vo’ cercar, ma parmi un uom gentile;
     Nè, per piacerti, mai mi fia fatica
     Esaudire il tuo priego tanto umíle:
     Di Chiaramonte è la mia schiatta antica,
     E non è sangue che sia punto vile,
     Ma forse il più gentil ch’al mondo sia,
     E tiene in Francia regno e monarchia.