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canto ventesimo. 97

72 Quel che tu hai fatto, io me ne dolgo forte,
     E forse punirotti del tuo errore,
     Di que’ Pagani a chi data hai la morte.
     Rispose Orlando: Famoso signore,
     Tutti saremo venuti alla corte,
     Per fare il nostro debito e ’l tuo onore,
     A vicitar la tua magnificenzia,
     S’avessi avuta tanta pazienzia.

73 Ma tu ci mandi all’albergo a pigliare,
     Come i ladron c’hanno con loro i furti:
     Non ci lasci due dì sol riposare,
     Ch’appena nel tuo porto savam surti:
     Se Macon certo ciò veniva a fare,
     Morto l’aremmo co’ morsi e cogli urti,
     Più tosto che venir come ladroni
     A corte in mezzo di venti ghiottoni.

74 Che noi siam Persiani, abbi per certo:
     Cercando andiam della ventura nostra,
     E non sappiam s’ella è più in un deserto,
     Che in un giardino o nella terra vostra.
     E già molto disagio abbiam sofferto;
     Andiam per quella via che ’l ciel ci mostra,
     Nè tradimento facciamo a persona:
     Io lascio or giudicare a tua Corona.

75 Lo ’mperador gli piacque Orlando tanto,
     Quanto e’ sentissi uom mai parlar discreto,
     E disse: Io so ch’i’ ho trascorso alquanto;
     Ma se voi andate alla ventura drieto,
     Io vo cercando doglia, angoscia e pianto,
     E non ispero omai d’esser più lieto;
     Io ho perduto tutto il mio conforto,
     Dall’ora in qua che ’l mio figliuol fu morto.

76 E benchè tutto il mondo qua in aiuto,
     Come tu vedi, venga a mia vendetta,
     Chè vedi il popol già che c’è venuto,
     E tante nave in punto qua si metta,
     Non riarò però quel c’ho perduto,
     Con tutto il mio tesoro e la mia setta;
     E vestirò pur sempre oscuro e negro,
     Come tu vedi, e mai più sarò allegro.