84 Ella avea detto: Il mio crudo destino,
I fati, il cielo e la spietata sorte,
O qual si fussi altro voler divino,
M’avean condotta a sì misera morte;
Tu venisti in Levante, paladino,
Mandato certo dall’eterna corte
A liberarmi, e per te sono in vita:
Dunque io mi dolgo della tua ferita.
85 Queste parole avean passato il core
A Ulivieri e pien sì di dolcezza,
Che mille volte ne ringrazia Amore,
Perchè conobbe la gran gentilezza:
Are’ voluto innanzi al suo signore
Morir, chè poco la vita più prezza,
E poco men che non dissi, niente;
Pur gli rispose vergognosamente.
86 Io non fe’ cosa mai sotto la luna,
Che d’aver fatto io ne sia più contento;
S’io t’ho campata da sì rea fortuna,
Tanta dolcezza nel mio cor ne sento,
Che mai più simil ne sentii alcuna:
So che t’incresce d’ogni mio tormento;
Altro duol c’è, che chiama altro conforto:
Così m’avessi quella fiera morto.
87 Intese bene allor quelle parole
La gentil dama, e drento al cor le scrisse,
Sì presto insegna Amor nelle sue scole;
E fra sè stessa sospirando disse:
Di quest’altro tuo duol ancor mi duole;
Forse non era il me’ che tu morisse:
Non sarò ingrata a sì fedele amante,
Ch’io non son di diaspro o d’adamante.
88 Partissi Forisena sospirando,
Ed Ulivier rimase tutto afflitto,
Della ferita sua più non curando,
Chè da più crudo artiglio era trafitto;
Guardò Rinaldo, e quasi lacrimando,
Non potè a lui tener l’occhio diritto,
E disse: Vero è pur, che l’uom non possa
Celar per certo l’amore e la tossa38.