Pagina:Pulci - Morgante maggiore I.pdf/77

58 il morgante maggiore.

mantile, fa venir questa voce, come pure l’altra Macca, che significa abbondanza grande, dal lat. mactus, composto di magis e auctus, quasi mauctus, e che si usava anche avverbialmente, e quasi a modo di vocativo: Macte virtute esto, disse Seneca. È qui da notare la etimologia del nome del pittore Buffalmacco, fatto celebre più che dalle opere proprie da quelle del Boccaccio, il qual significa «Soffiar nel macco, o nella polenda;» perchè bufar, in Provenzale, significava soffiar colla bocca. Di qui il nome di Buffoni a coloro che si teneano, ne’ bassi tempi, per le corti dei gran Signori, affinchè divertissero coi lor motti, e gesti, e scherzi, fra i quali vi era quello di gonfiare lo gote, e poi facendosele percuotere, mandar fuori della bocca il fiato con un certo strepito, o suono. Dalla stessa voce Provenzale abbiamo buffa, che vale burla, vanità ec., quasi cosa da nulla, e che è come un soffio; e diciamo di cosa molto leggiera è un soffio. Dal suo fischio, o suono quasi d’un che soffia, chiamarono i Siciliani Bufferanna una sorta di serpenti, come rilevasi da un passo di Guido Giudice: «Overo di quello, il quale Bufferanna in Sicilia si chiamasse.» E credo che buffa si sia chiamata quella parte dell’elmo, detta anche visiera, che cuopre la faccia, e si alza e cala a voglia altrui, e buffa anche quella specie di cappuccio che si prolunga insin sulla faccia, e che usano di porre allo lor cappe i fratelli delle Compagnie o Confraternite, perchè chi ha cotale impaccio sulla bocca è costretto a respirare con maggior fatica, per cui ansa e soffia. — E lascia i porci poi pescar nel truogo. Per disprezzo dice che i tre Paladini mangiano con tal voracità, che paion porci che grufolino in un truogolo d’acqua. Truogo, o truogolo, è voce derivante dalla greca τρώγλη; perchè nelle caverne o grotte vedonsi per lo più dei piccoli laghetti formati dalle acque che permeano dalle interne viscere dei monti, i quali laghetti somigliano appunto a tanti truogoli.

43. E in Giusaffà. Ecco un esempio di quel ridicolo o specie di disprezzo di cui il Poeta suole spesso cospergere le cose più sacre; difetto, del quale non può in modo alcuno scusarsi; e ciò sia detto una volta per sempre.

44. imbeccare Per la visiera. Cioè introdurre i bocconi per il foro della visiera. Imbeccare vale mettere il cibo nel becco agli uccelli che non sanno per loro stessi beccare; qui è usato figuratamente. — a diletto. A, per, con, ed è vaga maniera. «Furo ricevuti tutti a grandissimo onore,» disse Giovanni Villani; e Dante:

Raccomandò che l’amassero a fede.
               Parad., Canto XI.

45. Non mangeran così a bertolotto. Mangiare a berlolotto vale mangiare senza pagare, il che dicesi anche passare per bardotto. Modo proverbiale, ed è l’asymbolum comedere di Terenzio. — Alla barba l'arai. Alla barba vale in dispetto, in onta, e simili, ciò che i Latini dicevano ingratiis; onde qui Rinaldo viene a dire quasi a Brunoro: sì, mangerò senza pagare, a tuo dispetto. — Arlotto. Dicesi a uomo goffo, gaglioffo. È conosciuto sotto questo nome il Piovano di Maciuoli, celebre per gli spiritosi suoi motti, coi quali rallegrava la corte medicea.

46. ne spicca una spanna. La spanna è la lunghezza della mano distesa, e aperta dalla estremità del dito mignolo a quella del grosso. Viene questa voce, a mio credere, dalla greca σπιθαμή, che ha lo stesso significato, dalla quale corrotta, si è formato spanna. I Latini dissero dodrans. Svetonio: Statura ejus fuit quinque pedum, et dodrantis.

49. diluviava. D’uno che mangia con gran voracità, e rifinisce ciò che ha davanti, dicesi ch’e’ diluvia.

51. gli appiccò sul capo una sorba. Modo proverbiale, e vale, gli scaricò un colpo sul capo. — micca, minestra. Il Salvini fa venir questa voce dal latino mica, o dal greco μικρά, o meglio μικκή, o μικκηύλη, che vale piccola; e di fatto la minestra si fa ponendo nel brodo delle piccole par-