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canto terzo. 55

73 I frati ognun la cappa si cavava;
     Chi piglia sassi, e chi stanga, e chi mazza;
     Ognuno addosso a costor si cacciava,
     Molti uccidean di quella turba pazza:
     Rinaldo tanti quel dì n’affettava,
     Che in ogni luogo pel sangue si guazza;
     A chi balzava il capo, e chi ’l cervello,
     Come si fa delle bestie al macello.

74 E Ulivieri, ch’aveva Durlindana,
     Tu dè’ pensar quel che facea di loro;
     E’ fece in terra di sangue una chiana35:
     Dodon pareva più bravo ch’un toro.
     Missesi in fuga la gente pagana,
     Chè non potean più reggere al martoro;
     L’abate all’uscio per più loro angoscia
     S’era recato, e nell’uscir fuor croscia36.

75 Subito la badia isgomberorno;
     Molti ne fecion saltar le finestre,
     Fino al deserto gli perseguitorno,
     Poi gli lasciorno alle fiere silvestre;
     I monaci la porta riserrorno,
     E rassettârsi alle antiche minestre:
     Poi riposato all’abate n’andava
     Rinaldo presto, e così gli parlava:

76 Voi dite, abate, che siete cugino,
     Se bene ho inteso tal ragionamento,
     D’Orlando degno nostro Paladino;
     Però di questo mi fate contento,
     Donde disceso siete, e in qual confino,
     E che cagion vi condusse al convento.
     Disse l’abate: Se saper t’è caro
     Quel che tu di’, tu sarai tosto chiaro.

77 Io fui figliuol d’un figliuol di Bernardo,
     Che si chiamò dalla gente Ansuigi,
     Fratel d’Amone, e fu tanto gagliardo,
     Ch’ancor la fama risuona in Parigi
     D’Ottone e Buovo, s’i’ non son bugiardo:
     E la cagion ch’io vesto or panni bigi,
     Fu dal ciel prima giusta spirazione,
     Poi per conforto di Papa Lione.