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338 il morgante maggiore.

67 E parvegli ch’Antea se ne ridesse,
     Quand’ella volse il cavallo arabesco:
     Volto Rinaldo, l’aste in resta messe,
     E con Baiardo fe del barberesco;
     Ma come e’ par ch’alla dama s’appresse,
     Un bello scudo ch’aveva moresco,
     Subito drieto alle spalle gittava,
     E gittò via la lancia che portava.

68 Veggendo questo Antea, ch’era gentile,
     Subito anch’ella lo scudo volgea,
     Per non parer nè villana nè vile;
     Orlando troppo di ciò si dolea,
     E dice: L’esca riscalda il fucile;
     Maladetta sia tu per certo, Antea:
     Or vedi, Ricciardetto, ove noi siamo;
     Qui si convien che l’arme adoperiamo.

69 Chè quando io vidi Antea sì larghi patti
     Far, se Rinaldo la vinceva in giostra,
     Io dissi: Or sono acconci i nostri fatti,
     A salvamento omai la terra è nostra;
     Ora ho temenza al fin non siam disfatti,
     Poi che tanta pazzia Rinaldo mostra:
     Parmi ch’uscito sia dello intelletto.
     E così a me; diceva Ricciardetto.

70 Accostasi a Rinaldo Orlando allora,
     E disse: Dimmi, dove tu hai apparato
     Giostrar così, ch’io nol sapevo ancora?
     E molto caro ho tu m’abbi insegnato:
     Veggo che ’l foco drento ben lavora,
     E ’n questo dì riman vituperato.
     Disse la dama: Così vuole Amore;
     Prendi del campo tu, gentil signore.

71 Allor comincia Ulivieri a pregare:
     Per grazia, car cognato, ti domando,
     Che tu mi lasci con questa provare.
     Io son contento, rispondeva Orlando;
     Non che pregarmi, tu puoi comandare:
     Ulivier venne il suo destrier voltando,
     E quanto gli parea del campo prese;
     Così la donna, e volsesi al marchese.