7 Ed Ulivier, Ricciardetto, e Terigi,
E s’alcun c’è della vostra brigata,
E Carlo imperadore, e San Dionigi.
La cagion che ’l Soldan m’ha qui mandata,
Non è per ricercar guerra o litigi,
Ma credo indoviniate la ’mbasciata;
Altro non vuol che quel che vuol ragione,
E conservar la sua giuridizione.
8 Questa città coll’altre tutte quante
Del corno qua di Persia e di Soria,
E di tutto il paese di Levante,
Son sottoposte a nostra monarchia:
Però, poi ch’egli è morto l’Amostante,
Ritorna al padre mio la signoria:
Questo si dice, questo chiar si mostra,
Che in ogni modo questa terra è nostra.
9 Nè credo che voi siate in quest’errore,
Di non sapere a cui ricade il regno:
Ma ogni cosa il Roman Senatore
Ha fatto per vendetta e per isdegno,
Il quale ha tanta forza in nobil core,
Che fa della ragion passare il segno;
E così fe’il Soldan (nota, Rinaldo)
Per isdegno anco lui di Marcovaldo.
10 Se voi volete lasciar la cittade
Sanza quistion, contento è il padre mio,
E ritornar nelle vostre contrade:
Se questo non farete, sia con Dio;
Noi proverem se taglian nostre spade,
E così da sua parte vi dich’io,
E vengo a protestarvi nuova guerra,
Se non ci date libera la terra.
11 Poche parole a chi m’intende basti.
E poi soggiunse: O misero Copardo,
O Chiariella mia, quanto fallasti!
O giudizio del Ciel, tu vien sì tardo!
Ma licito ti sia, poi che cavasti,
Se ben col mio giudicio retto guardo,
Di luoghi tenebrosi oscuri e bui
Sì gentil cavalier quanto è costui.