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326 il morgante maggiore.

7 Ed Ulivier, Ricciardetto, e Terigi,
     E s’alcun c’è della vostra brigata,
     E Carlo imperadore, e San Dionigi.
     La cagion che ’l Soldan m’ha qui mandata,
     Non è per ricercar guerra o litigi,
     Ma credo indoviniate la ’mbasciata;
     Altro non vuol che quel che vuol ragione,
     E conservar la sua giuridizione.

8 Questa città coll’altre tutte quante
     Del corno qua di Persia e di Soria,
     E di tutto il paese di Levante,
     Son sottoposte a nostra monarchia:
     Però, poi ch’egli è morto l’Amostante,
     Ritorna al padre mio la signoria:
     Questo si dice, questo chiar si mostra,
     Che in ogni modo questa terra è nostra.

9 Nè credo che voi siate in quest’errore,
     Di non sapere a cui ricade il regno:
     Ma ogni cosa il Roman Senatore
     Ha fatto per vendetta e per isdegno,
     Il quale ha tanta forza in nobil core,
     Che fa della ragion passare il segno;
     E così fe’il Soldan (nota, Rinaldo)
     Per isdegno anco lui di Marcovaldo.

10 Se voi volete lasciar la cittade
     Sanza quistion, contento è il padre mio,
     E ritornar nelle vostre contrade:
     Se questo non farete, sia con Dio;
     Noi proverem se taglian nostre spade,
     E così da sua parte vi dich’io,
     E vengo a protestarvi nuova guerra,
     Se non ci date libera la terra.

11 Poche parole a chi m’intende basti.
     E poi soggiunse: O misero Copardo,
     O Chiariella mia, quanto fallasti!
     O giudizio del Ciel, tu vien sì tardo!
     Ma licito ti sia, poi che cavasti,
     Se ben col mio giudicio retto guardo,
     Di luoghi tenebrosi oscuri e bui
     Sì gentil cavalier quanto è costui.