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290 il morgante maggiore.

43 E fecelo spiegare in sua presenzia.
     Quando Rinaldo il padiglion vedea,
     Maravigliossi di tanta eccellenzia,
     E disse: Certo, io non so qual Iddea
     Avessi fatto tal magnificenzia,
     Se fussi Palla. E grazia gli rendea,
     Dicendo: Per tuo amor tal padiglione
     Sempre terrò, chè così vuol ragione.

44 Egli era in questo modo divisato:
     In su la sala magna fu disteso,
     In quattro parte, ov’era figurato
     Quattro elementi;9 e ’l primo pare acceso,
     Ch’era per modo ad arte lavorato,
     Che si sare’ per vero foco inteso,
     Pien di faville e raggi fiammeggianti,
     Ch’ognuno abbaglia che gli sta davanti.

45 Quivi eran certi carbonchi e rubini,
     Che campeggiavan ben con quel colore,
     Certi balasci e granati sì fini,
     Che in ogni parte rendeva splendore:
     Quivi eran Cherubini e Serafini,
     Come è nel foco dello eterno amore:
     Quivi è la salamandra10 ancor nel foco,
     Che si godea contenta in festa e ’n gioco.

46 Nella seconda parte è l’aer puro,
     Azzurro tutto, e ’l ciel con ogni stella,
     La Luna, e ’l Sole, e Venere, e Mercuro,
     E Giove appresso, e Vulcan che martella;
     Saturno e Marte in aspetto più duro,
     Dodici segni, ed ogni cosa bella,
     Che tutto non è tempo a raccontare;
     Poi gli uccei sotto si vedean volare.

47 L’aquila in alto con sue rote andava
     Guardando fiso il Sol, com’ella è avvezza,
     Tanto che ’l Sol le penne gli abbruciava,
     E rovinava in mar giù dell’altezza;
     Quivi di nuove penne s’adornava,
     E riprendeva poi sua giovinezza:
     E la nuova fenice, come suole,
     Portava il nido alla casa del sole.