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286 il morgante maggiore.

23 Il barbassoro della gran foresta
     Diceva al prenze: Quanto ti so grado,
     Ch’a quel ribaldo rompesti la testa!
     Sappi ch’io son di nobil parentado;
     Ogni cosa sia tuo ch’è in mia potesta.
     Dicea Rinaldo: Intender mi fia a grado,
     Questa città quanti uomini farebbe
     Da portare arme qual si converrebbe.

24 Rispose il barbassoro: Questa terra
     Ha sotto sè cinqu’altre gran cittate:
     Centomila Pagan faran da guerra,
     Sanza molte castella e le villate;
     Io so che la mia lingua in ciò non erra,
     Ma tu potrai veder le schiere armate.
     Rinaldo, udendo ciò che quel dicea,
     A Gesù Cristo grazia ne rendea.

25 E stettesi alcun giorno a riposare
     Rinaldo e’ suoi compagni allegramente;
     Il popol lo voleva incoronare,
     Ma Rinaldo non volle per niente,
     Dicendo: In libertà vi vo’ lasciare,
     E ’l signor vostro è Cristo onnipotente.
     Poi, quando un tratto vide tempo ed agio,
     Il popol ragunò tutto al palagio.

26 E ragunato, fece parlamento,
     E disse: Or che di voi fidar mi posso,
     Io vo’ che voi intendiate a compimento,
     Per che cagion di Parigi son mosso,
     E perch’io vivo nel cuor malcontento
     D’un peso che mi grava insino all’osso:
     L’Amostante di Persia ha imprigionato
     Il mio cugin ch’Orlando è nominato.

27 Vorrei che mi facessi compagnia,
     Tanto ch’Orlando mio si riavessi.
     Poi che finita fu la diceria,
     Fu commesso a Balante che dicessi,
     E che per parte della baronia
     Ciò che chiedea Rinaldo gli offeressi:
     Allor Balante ritto si levoe,
     E come savio a parlar comincioe.