3 La mattina per tempo fu levato;
L’oste i cavalli apparecchiati aveva,
E da costor non volle esser pagato,
Ma di sua povertà lor proffereva:
Guata Rinaldo ed Ulivieri armato,
E molta ammirazion seco prendeva,
Chè gli pareva ognun fiero e gagliardo,
E Vegliantin vagheggiava e Baiardo.
4 Rinaldo se n’andò verso il palazzo,
Al re montava il baron valoroso:
Era a vederlo tutto il popolazzo:
Quivi sentiva un pianto doloroso
Delle donzelle. Il re superbo e pazzo
Vide costoro, e tutto disdegnoso:
Chi siete voi, domandava Ulivieri,
così presuntuosi cavalieri?
5 Rinaldo gli rispose: La risposta
Farò io per costui che tu domandi.
E poi che presso alla sedia s’accosta,
Disse: Per certo di te fama spandi;
Non so come il ciel facci tanta sosta,1
Ch’a Belzebù giù in bocca non ti mandi;
Della tua tirannia, can traditore,
Dieci leghe lontan mi venne odore.
6 Era la sala piena di Pagani;
Non gli rispose alcun, ch’avieno sdegno,
E divorato l’arvien come cani
Quel signor tristo, d’ogni morte degno:
Rinaldo seguitò: Colle mie mani
Per gastigarti sol, Vergante, vegno;
Ciriffo sono, e per divino effetto
Mi manda in questa parte Macometto.
7 Adultero, sfacciato, reo, ribaldo,
Crudo tiranno, iniquo e scelerato,
Nato di tristo, e di superchio caldo;
Non può più il ciel patir tanto peccato,
Nel qual tu se’ pure ostinato e saldo,
Lussurioso, porco, svergognato,
Poltron, gaglioffo, poltoniere e vile,
Degno di star col ciacco nel porcile.