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canto decimoterzo. 279

68 Rinaldo, che gli avea donato il core,
     Ben poteva il caval donare a quella:
     Trovossi un fornimento al corridore;
     Rinaldo addosso gli pose la sella,
     E lasciossi trattar dal suo signore,
     Come si mugne una vil pecorella:
     Poi vi montava, e preso in man la briglia,
     Gli fe far cose che fu maraviglia.

69 Un giorno ancora insieme dimoraro,
     Ch’Amor pur lo tenea legato stretto,
     Poi da Marsilion s’accommiataro;
     Marsilio consentirgli fu costretto,
     Quando sentì d’Orlando il caso amaro,
     E ciò ch’aveva gli offerse in effetto:
     La damigella sospirò alquanto
     Dinanzi al padre, ma poi fe gran pianto.

70 Ed ogni giorno con seco piangea,
     Ch’era già tutta di Rinaldo accesa;
     Ventimila baron gli profferea
     Dovunque egli volessi a sua difesa;
     E ringraziata Rinaldo l’avea,
     E nel partir molto il suo cor palesa:
     Quando fia tempo, disse, per lor mando,
     E sempre, dama, a te mi raccomando.

71 Passoron tutta la Spagna costoro,
     Ed arrivorno un giorno in un gran bosco;
     Gente trovorno ch’avean gran martoro;
     Dicea Rinaldo: Nessun ci conosco.
     A sè chiamava un vecchio barbassoro,12
     Ch’era tutto turbato in viso e fosco;
     E disse: In cortesia, di’ la cagione,
     Che voi parete pieni d’afflizione.

72 Rispose il barbassoro: Tu il saprai
     Perchè si fanno qui questi lamenti;
     Noi siam d’una città che tu vedrai
     Tosto, che miglia non c’è lungi venti:
     Arna si chiama, come intenderai.
     Tutti siamo scacciati e malcontenti,
     Sanza sperar che nulla ci conforti,
     Se non che insieme piangiam mille torti.