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canto decimoterzo. 277

58 Tra pazzi e pazzi, e bestie, e bestia fia,
     Chè c’è ben di due gambe bestie ancora:
     Forse a qualcuno uscirà la pazzia.
     Il re Marsilio consentì allora,
     Quantunque far li par villania,
     Chè di Rinaldo suo già s’innamora:
     E dettegli alla fine un suo valletto;
     Ed Ulivier volle ire e Ricciardetto.

59 Volevalo Marsilio accompagnare;
     Rinaldo disse: Io non voglio altro meco.
     Se non che ancor Terigi volle andare,
     Chè sa ch’egli è suo debito esser seco:
     Vedevasi Rinaldo sfavillare,
     Come volea colui ch’è pinto cieco.
     Dicea Marsilio: Io priego il nostro Dio,
     Che t’accompagni, car Rinaldo mio.

60 Rinaldo se ne va verso il deserto,
     E ’l messaggier mostrò dov’e’ credea
     Che sia il caval, benchè nol sappi certo.
     Rinaldo allor di Baiardo scendea:
     In questo il gran destrier si fu scoperto,
     Che già pel bosco sentiti gli avea:
     Ma quel Pagan, come vide il cavallo,
     Sopra un gran cerro terminò aspettallo.

61 Ed anco s’arrecò su bene in vetta.
     Disse Ulivier: Per Dio, tu mi par pratico;
     A questo modo ogni animal s’aspetta.
     Disse il Pagano: Egli è pazzo e lunatico,
     E so quel che sa far colla zampetta;
     Questo è colpo di savio e di gramatico:
     Saprò me’ dire come il fatto è ito
     Al mio signor; però son qui salito.

62 Ricciardetto, veggendo il Saracino,
     Che come il ghiro s’era inalberato,
     Diceva: Esser vorrebbe un orsacchino,
     Che insin costì t’avessi ritrovato.
     Disse il Pagan: Va pure a tuo cammino;
     Il giuoco netto piace in ogni lato;
     Io temo il danno e ’l pentersi da sezzo
     Della vergogna, io mi vi sono avvezzo.