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canto decimoterzo. 271

28 Poi misse al suo cavallo il fornimento;
     Ed Ulivier con lui volle partire;
     Terigi s’assettava in un momento,
     E Ricciardetto disse: Io vo’ venire.
     Rinaldo, poi che vuol, ne fu contento;
     Ognun pur si voleva profferire;
     Ma ’l prenze non volle altri per compagno.
     Così si dipartir da Carlo Magno.

29 E fecion sopravveste divisate;
     E cavalcando per la Spagna, un giorno
     Il re Marsilio e certe sue brigate
     In un bel piano a cavallo scontrorno;
     E con parole saracine ornate,
     Come fur presso a lui, lo salutorno.
     Disse Marsilio al prenze: Il tuo cavallo
     Troppo mi piace, s’a me vuoi donallo.

30 Questo mattin mi venne in visione
     Ch’io guadagnavo sì nobil destriere;
     Se me lo doni, per lo iddio Macone
     Tu mi trarrai fuor d’uno stran pensiere,
     Cioè di non aver meco quistione:
     Però fa gentilezza, cavaliere;
     Chè pur s’altro rimedio a ciò non veggio,
     Combatterollo, e tu n’andrai col peggio.

31 Disse Rinaldo: E’ fu già temporale,4
     Che si fossi il destrier di chi ’l sognava;
     Chi possedeva quella cosa tale,
     Qual fosse, per quel sogno gliel lasciava;
     Onde un borgese, non ti dico quale,
     Un paio di buoi dormendo immaginava
     D’un suo vicin che gli teneva cari,
     E volevagli pur sanza danari.

32 Anzi voleva pagarlo di sogni;
     Colui dicea: Del mio gli comperai,
     E così credo ch’a te far bisogni,
     Se non ch’al fin sanz’essi te n’andrai;
     Mentre che par che in tal modo rampogni,
     Si ragunò d’intorno gente assai,
     E non sapendo solver la quistione,
     N’andorno di concordia a Salamone.