Pagina:Pulci - Morgante maggiore I.pdf/274


canto decimosecondo. 255

43 Ch’era tutto di cuoio di serpente,
     Con certi Macometti messi a oro,
     Con gran carbonchi, se Turpin non mente,
     Zaffir, balasci, e valeva un tesoro.
     Orlando al padiglion poneva mente,
     Dove il gigante faceva dimoro,
     E stava tanto fiso a mirar questo,
     Che Marcovaldo s’adirava presto.

44 Perch’e’ giucava a scacchi a suo sollazzo,
     Siccom’egli è de’ gran signor costume:
     Volsesi, e disse con un suo ragazzo:
     Chi è quel poltronier che tiene il lume?
     Cacciatel via, e’ debbe essere un pazzo:
     Donde è venuto questo strano agrume?
     Fu preso a Vegliantin tosto la briglia,
     Ch’Orlando al padiglion tenea le ciglia.

45 Terigi, quando vide il Saracino
     Ch’avea preso la briglia al conte Orlando,
     Come fedele e servo al paladino,
     Subito trasse alla testa col brando;
     E quel Pagan gittava a capo chino,
     Chè le cervella fuor vennon balzando.
     Ah: disse Orlando come bene hai fatto,
     A gastigar, Terigi, questo matto!

46 Marcovaldo colui vide cadere;
     Maravigliossi, chè non parve appena
     Che Terigi il toccassi: Ah, poltroniere,
     Gridava forte, matto da catena!
     E poi si volse ad un altro scudiere:
     Piglia quel, disse, e drento qua lo mena,
     Ch’io non intendo sofferir tal torto,
     Ch’egli abbi in mia presenzia colui morto.

47 Allora Orlando prese Durlindana,
     Chè tempo non gli par di stare a bada,
     Ed accostossi alla turba pagana:
     Terigi s’arrostava colla spada;
     Quanti ne giugne, in terra morti spiana,
     Tal che non v’è più ignun che innanzi vada:
     Orlando a chi non era al fuggir destro,
     Facea col brando il segno del maestro.