Pagina:Pulci - Morgante maggiore I.pdf/262


canto decimoprimo. 243

124 Dond’io n’ho tutto questo giorno pianto,
     Chè, come desto fu’, disparì via.
     Ed io temendo mi levai; e ’ntanto
     Feci priego alla Vergine Maria,
     Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo,
     Che ’nterperetar dovessi quel che sia:
     E parmi aver nella mente compreso,
     Che Carlo è morto, e Cristo abbiamo offeso.

125 Non si dovea però volerlo morto,
     Però che pur tenuta ha la corona
     Già tanto tempo, e pur si vede scorto
     Quanto Dio amassi la sua stirpe buona,
     Chè dal Ciel lo stendardo gli fu porto,
     Che non fu dato al mondo mai a persona:
     Temo ch’offeso non abbiam Gesue
     Pe’ suoi gran merti e per le sue virtue.

126 E credo che sarebbe utile ancora,
     Che si mettessi per Parigi un bando,
     Che chi sapessi ove Carlo dimora
     O vivo o morto, lo venga insegnando:
     E come giusto imperador s’onora,
     Che si venissi il sepolcro ordinando:
     Però che il ciel, se ha conceputo sdegno
     Della sua morte, mostrerà gran segno.

127 Quando Rinaldo le parole intende,
     Subitamente nel volto cambiossi,
     E di tal caso sè molto riprende,
     Dicendo: Io non pensai che così fossi;
     E nel suo cor tanta pietà s’accende,
     Che gli occhi già son lacrimosi e rossi,
     E disse: Orlando, quel che detto m’hai
     Mi pesa troppo, e dolgomene assai.

128 Ma non pensai però, che tanto male
     Di questo caso seguitar dovessi;
     Ma dopo il fatto il penter poi non vale:
     A me par verisimil s’uccidessi,
     Perchè pur sendo di stirpe reale,
     Arà voluto uccidersi lui stessi,
     Piuttosto ch’altri vi ponessi mano,
     Come di Annibal sai che letto abbiàno.