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canto decimoprimo. 237

94 Talvolta gli occhi volgeva a Parigi;
     Quando guardava inverso Montalbano;
     Non sa che ’l suo soccorso è in San Dionigi.
     Diceva allor, per dileggiarlo, Gano:
     Che guardi tu? se ne vien Malagigi?
     E’ fia qui tosto, egli è poco lontano:
     Perchè con meco Astolfo, così adiriti?
     Ch’e’ liberar ti farà da’ suoi spiriti.

95 E nondimeno un’ostia, com’io dissi,
     Gli avea cucito di sua mano addosso
     Nella prigion, chè caso non venissi
     Che Malagigi l’avessi riscosso,
     Acciò che in ogni modo quel morissi.
     Diceva Astolfo: Omè! che più non posso
     Risponder, traditor, quel che tu meriti
     De’ tuoi peccati presenti e preteriti.

96 Gan lo schernia di nuovo con parole,
     E pure al manigoldo raccennava;
     E ’l manigoldo tira come suole.
     Astolfo a poco a poco s’avviava,
     Però che solo un tratto morir vuole,
     E così finalmente s’accordava:
     I Maganzesi pur gridan dintorno
     E sbuffan beffe con ischerno e scorno.

97 Orlando in questo Astolfo in alto vide,
     E disse: Tempo non è da star saldo:
     Non senti tu quel tumulto e le gride?
     E ’l simigliante diceva Rinaldo:
     Io veggo il manigoldo che l’uccide,
     E già il capresto gli acconcia il ribaldo:
     Non aspettiam che gli facci più ingiuria.
     Così di San Dionigi escono a furia.

98 Rinaldo punse in su’ fianchi Baiardo,
     Che non si vide mai saltar cervietto,
     Ch’a petto a questo non paressi tardo;
     Così faceva Orlando, e Ricciardetto:
     Non è lion sì presto o liopardo;
     Terigi drieto seguiva, il valletto:
     Rinaldo scuopre il Lione sbarrato,
     Orlando ha il segno del Quartier mostrato.