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canto decimoprimo. 231

64 Pel tuo caro nipote e degno conte,
     Per quel ch’io feci già teco in Ispagna,
     S’io meritai mai nulla in Aspramonte,
     Per la corona tua famosa e magna:
     E pur se morir debbo con tant’onte,
     Quel traditor ch’è pien d’ogni magagna,
     Più ch’altro Giuda, o che Sinon di Troia,11
     Per le sue man non consentir ch’io muoia.

65 Carlo diceva: Questo a che t’importa?
     Gan da Pontier gli volse dar col guanto;
     Me ’l duca Namo di ciò lo sconforta.
     Astolfo fu da’ Maganzesi intanto
     Preso, e menato inverso della porta,
     E tutto il popol ne facea gran pianto:
     Uggier più volte fu tentato sciorre
     Astolfo, e a Ganellon la vita torre.

66 Ma poi di contrapporsi a Carlo teme,
     E non pensò che riuscissi netto:
     I Maganzesi son ristretti insieme,
     Perchè de’ paladini avean sospetto;
     E d’ogni parte molta gente preme:
     Quel traditor di Gan per più dispetto
     Come un ladrone Astolfo svergognava,
     E ’l manigoldo pur sollecitava.

67 Avea pregato Namo e Salamone
     Lo ’mperador, che dovessi lasciarlo;
     Avolio, Avino, Gualtier da Mulione,
     E Berlinghier si sforza di camparlo,
     Dicendo: Abbi pietà del vecchio Ottone,
     Che tanto tempo t’ha servito, Carlo.
     Tutta la corte per Astolfo priega,
     Ma Carlo a tutti questa grazia niega.

68 E finalmente a Gan fu consegnato,
     Che facci che far dee di sua persona.
     Gan sopra un carro l’aveva legato,
     E ’n testa gli avea messa una corona
     Per traditore, e il giubbon di broccato,
     E gran romor per Parigi risuona;
     Ed un capresto d’oro gli avvolgea:
     Or questo è quel ch’a Astolfo assai dolea.