Pagina:Pulci - Morgante maggiore I.pdf/236


canto decimo. 217

contro i Giganti; altri, al contrario, che combattesse contro quel Dio e fosse da lui fulminato. Nettuno gli dette in moglie la sua figliuola Cimopolia, e per questo alcuni lo annoverano fra gli Dei del mare. Finalmente fu posto a guardia dei Titani che nell’Inferno giacevano incatenati. Giuppiterre, cioè Giove, era il Dio Massimo degli antichi, e così noto, che posso passarmela dal narrarne la lunga istoria. Fialte, o Efialte, fu figliuolo di Aloeo, e fratello di Oto. Questi due fratelli crescevano ciascun mese un cubito in larghezza, ed un braccio in lunghezza; talchè di nove anni eran già fatti giganti. Furono essi che imposer l’Ossa all’Olimpo, e a questo il Pelio per giungere al cielo e tòrsi in moglie l'uno Giunone, l’altro Diana, la quale ne scampò cangiandosi in cerva, e uccidendogli poscia ambedue colle sue freccie. Furon dannati a star nell’Inferno attaccati colle spalle ad una colonna di serpenti, in cima della quale sta un gufo, che del continuo gli tormenta colle sue grida, e rode lor le intestina. Capaneo fu quel che cadde a Tebe giù da’ muri, quando, essendo all’assedio di quella città in aiuto di Polinice, fu fulminato da Giove, in pena del disprezzo da lui dimostrato contro gli Dei. Evadne sua moglie si gettò da sè stessa sul rogo di lui. Vuolsi però che fosse da Esculapio risuscitata, e che ritornasse su dall’Inferno. Anteo, finalmente, fu un gigante figliuolo di Nettuno e della Terra, e re d’Irasa. Avea fatto voto al padre di cuoprirne il tempio di cranii d’uomini; il perchè scannava tutti i forestieri che giugnevano nel suo paese. Da ultimo Ercole, passando por colà mentre conduceva ad Euristeo i buoi di Gerione, combattè con esso, e per ben tre volte atterrollo; ma altrettante si rilevò più feroce, perocchè la madre ogni volta infondevagli novelle forze; di che avvedutosi Ercole, presolo e levatolo in aria, lo soffocò.

147. guinzaglio. È nome generico di qualunque striscia che s’adoperi a qualche uso; ma più specialmente significa quella corda o altra cosa con che si legano i cani quando si conducono a caccia; e di qui è tolta dal Poeta la metafora; laonde, non potere stare più in guinzaglio, vale quanto non potere star più alle mosse. Viene da vincigrium, secondo il Menagio; e questo, certamente, dal verbo vinco; perchè col guinzaglio vincitur canis. — giocar qui a sonaglio. Lo stesso che giuocare a mosca cicca, o a beccalaglio. — S’appiccon pesche. Si dan d’acerbe percosse.

148. si faceva un nicchio. Nicchio è lo stesso che conchiglia; onde qui vale si piegava, si curvava come una conchiglia. Nello stesso significato si trova nel Ciriffo Calvaneo: «E come un nicchio sul destrier si serra.» III, 75.

149. sull’ala. In disparte.

152. compagnone. Vale qui uomo di smisurata grandezza. In senso proprio però significa lo stesso che compagno, detto così alla francese, da compagnon. Fra le diverse etimologie della voce compagno o compagnone, taluno l’ha fatta derivare dal lat. combennones, che significa, secondo Festo: qui in cadem benna, idest vehiculo, sedent. Il Lipsio vuole invece farla derivare dal verbo combino, che vale quanto conjungo; e Francesco Rabelesio e Andrea de Chesoe da cum, e da panis; come chi dicesse, colui che mangia del medesimo pane. Tuttavolta pare più verisimile la etimologia che a questa voce assegna il Canino ne’ Canoni de’ Dialetti, facendola venire da compaganus, cioè abitatore dello stesso castello o paese. Potrebbe anche venire dal greco κομψέυομαι (scite, seu festive aliquid facio, aut dico). usandosi eziandio compagnone nel significato di uomo sollazzevole e di buon tempo.



i 19