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canto ottavo. 141

13 Uscendo un dì d’una zambra la dama,
     Rinaldo s’accorgea di questo fatto,
     E Ulivier segretamente chiama:
     Che fai tu? disse, tu mi pari un matto.
     Ulivier gli contò tutta la trama,
     Com’ella è battezzata, e con che patto.
     Rinaldo disse: Se Cristiana è certa,
     Fa che la cosa almen vadi coperta.

14 Or lasciamo Ulivier fornir la danza,
     E riposarsi alquanto, e gli altri ancora,
     E ritorniamo al signor di Maganza,
     Gan da Pontier, che non si posa un’ora.
     Avuto avea del suo messo certanza,
     Come impiccato fu sanza dimora
     Da Carador, onde n’ha gran tormento,
     E pensa pur qualch’altro tradimento.

15 E perch’egli era maestro perfetto,
     Si ricordò d’un gran re saracino,
     Lo quale Erminion per nome è detto,
     Nimico di Rinaldo paladino;
     Perchè Rinaldo6 gli fe già dispetto,
     Quando dette la morte al re Mambrino:
     Perch’egli avea per moglie la sorella,
     Detta dama Clemenzia savia e bella.

16 Avea più tempo questa donna eletta,
     Come fanno le moglie col marito,
     Pregato che far debba la vendetta;
     Erminion non l’avea consentito,
     Come colui che luogo e tempo aspetta,
     Siccome savio, a pigliar tal partito:
     Gan da Pontieri avea per alfabeto
     Ogni trattato palese e segreto.

17 E dov’e’ possa seminar discordia,
     Nol ritenea pietà nè conscienzia,
     Chè lo facea sanza misericordia;
     Sapea il pensier della dama Clemenzia:
     E scrisse un brieve, e dopo lunga esordia,
     Gli ricordò l’oltraggio e violenzia
     Del buon Rinaldo, e che non debba starsi,
     Però ch’egli era il tempo a vendicarsi.