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canto settimo. 127

44 Avea nel dosso migliaia di zampilli,
     Che gettan sangue già per le punture,
     Ch’erano state d’altro che d’assilli;20
     Chi dà percosse di mazze e di scure,
     Chi ’l petto par, chi le gambe gli spilli;
     Chi dà sassate che parevon dure:
     Era un diluvio la gente ch’è intorno,
     Per ammazzare il gigante quel giorno.

45 E già pel campo il romore è sì forte,
     Ch’alla città ne fu tosto sentore;
     Le guardie, ch’eran lasciate alle porte,
     Cominciorno a gridar con gran furore,
     Come Morgante era presso alla morte.
     Diceva Orlando: Vedrai bello errore,
     Che Manfredonio sarà pur scampato,
     E questo matto ha il suo campo assaltato.

46 Tanto andata sarà la capra zoppa,
     Che si sarà ne’ lupi riscontrata;
     Questa sua furia alcuna volta è troppa;
     E’ fece pur in ver pazza pensata
     D’ardere un campo come un po’ di stoppa,
     E come a’ topi far colla granata:
     Ma il topo sarà egli in questo caso
     Al cacio nella trappola rimaso.

47 Subito fece i suo’ compagni armare,
     E Caradoro le sue gente tutte,
     Perchè Morgante si possi aiutare
     Da’ Saracin, che gli davon le frutte:
     Così avvien21 chi pel fango vuol trottare,
     E può di passo andar per le vie asciutte:
     E fece a Vegliantin la sella porre
     Orlando, che ’l destrier suo vuol pur torre.

48 A Ulivier si fe dar Durlindana,
     Ed a lui dette Cortana e Rondello,
     E la bella e gentil Meridiana
     Ulivier arma, ch’è ’l suo damigello:
     Corsono al campo alla turba pagana
     Si presto ognun, che pareva un uccello.
     Morgante vide il soccorso venire,
     E col battaglio riprese più ardire.