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canto sesto. 109

39 Al padiglion ne lo porta il gigante:
     A Manfredonio Dodon presentava;
     Manfredon rise, veggendo Morgante,
     E per Macon d’impiccarlo giurava.
     Morgante in drieto volgeva le piante,
     Torna ad Orlando ch’al campo aspettava.
     Rinaldo irato ad Orlando dicia:
     Io ti farò, cavalier, villania.

40 Aspettami, se vuoi, tanto ch’io vada
     A qualche cosa a legar quel lione,
     Poi proveremo la lancia e la spada
     Per quel c’ha fatto il gigante ghiottone.
     Rispose Orlando: Fa’ come t’aggrada,
     O lancia, o spada, o cavallo, o pedone.
     Rinaldo smonta, e la bestia legava,
     Poi verso Orlando in tal modo parlava:

41 Non potrai nulla del lion più dire;
     Oltre provianci colle lancie in mano,
     Vedrem se, come mostri, hai tanto ardire;
     Chè il can che morde, non abbaia invano.
     Volse il destrier, per tornarlo a ferire.
     Orlando al suo Rondel gira la mano,
     Del campo prese, e con molta tempesta
     Si volse in drieto colla lancia in resta.

42 Non domandar quel che facea Baiardo,
     Con quanta furia spacciava il cammino;
     E Rondello anco non pareva tardo,
     Anzi pareva quel di Vegliantino:
     Rinaldo aveva al bisogno riguardo25
     Dov’e’ ponessi la lancia al cugino;
     Ma cognosceva ch’egli è tanto forte,
     Che pericol non v’è di dargli morte.

43 A mezzo il petto la lancia appiccoe,
     Orlando ferì lui similemente;
     E l’una e l’altra lancia in aria andoe;
     Non si cognosce vantaggio niente;
     E l’uno e l’altro destrier s’accoscioe,
     E cadde in terra pel colpo possente:
     Tanto che fuor della sella saltorno
     I duo baroni, e le spade impugnorno.

I. 10