Pagina:Pulci - Morgante maggiore I.pdf/12


prefazione dell'annotatore. ix

tore incontri la taccia di empio; poichè nel secolo decimoquinto un Cattolico poteva essere sinceramente divoto, e nondimeno permettersi un certo grado di latitudine ne’ teologici dubbi. E i Fiorentini potevano allora credere nell’Evangelio e ridersi di un dottore di teologia: perchè fu di que’ tempi precisamente che si trovarono spettatori di quelle memorabili controversie tra i rappresentanti della Chiesa Occidentale e della Orientale. Vescovi greci e latini da ogni angolo della Cristianità si erano ragunati in Firenze per farvi prova d’intendersi, se fosse stato possibile, gli uni cogli altri; ma si partirono odiandosi peggio di prima. Mentre il Pulci scriveva il Morgante, il clero di Firenze protestava contra le scomuniche pronunciate da Sisto IV, con termini che alla sua volta scomunicavano il papa. Un arcivescovo, convinto d’essere un faccendone papale, veniva appiccato ad una delle finestre del palazzo di governo in Firenze: questo caso potrebbe aver suggerito l’idea di cambiare un altro arcivescovo, nel poema, in carnefice.

I poeti romanzeschi pongono le osservazioni letterarie e scientifiche in luogo delle intramesse triviali de’ contastorie. Questo fu grande miglioramento, e quantunque non bene adoperato dal Pulci, pure ci vien presentando più d’una curiosa incidenza. Citando il filosofo suo amico e contemporaneo Matteo Palmieri, egli spiega l’istinto dei bruti con una ipotesi ardita, supponendo, cioè, che siano essi animati da mali spiriti. Questa idea non offese i teologi del secolo decimoquinto, ma risvegliò molto sdegno ortodosso, quando un frate francese, il Padre Bougeant, l’annunciò come una teorica sua. Il sig. Merivale, dopo avere osservato che il Pulci morì non ancora scoperta l’America da Colombo, cita un luogo che dee divenire un documento prezioso per la storia della filosofia:

     Sappi che questa opinione è vana,
Perchè più oltre navicar si puote,