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Non basta no che ci dividano in tanti altri punti le lingue numerosissime che si parlano? Che l’orfano derelitto, sotto qualunque cielo si trovi, sia inteso quando egli dice quelle compassionevoli parole: Pater meus et mater mea dereliquerunt me: Dominus autem assumpsit me (Ps. 26). Che la voce miserere sia voce di pietà e di misericordia dalle nevi del Baltico alle sabbie infeconde della California. E quando la sera aduna le sue tenebre e il suono lamentevole della campana c’invita a piangere sugli estinti, poichè così in Asia come in Europa e in tutte le altre parti del mondo si muore egualmente, e i morti hanno tutti una stessa dimora, ci sia una lingua sola per essi, differente da quella che usiamo negli affari, differente da quella con cui forse abbiamo insultati vivi quelli che ora lamentiamo sepolti. Non mi stancherò di ripetere: la lingua della piazza e della camera non deve, nè può essere quella della chiesa e del cimitero! Oh quanto mi piace la femminetta, che, senza aver imparato il latino, recita sotto voce l’uffizio divotamente, e intende i salmi per discrezione. Commetterà degli errori storcerà i sensi: o buono filologo, ti so dire che quella femminetta non istorcerà i sensi, come fai tu commentando; e ci aggiungerà qualche cosa del proprio, suggeritale dall’interno fervore della preghiera, che nè tu, nè alcun uomo di lettere ha mai trovato ne’ libri, e per cui essa e Dio se l’intendono fra loro. E s’ella piange e se n’esce consolata di