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amorevoli, generose e splendide accoglienze. Parimenti le singolari testimonianze di amore e riverenza che tutti gli Ordini del Clero, le Autorità civili, varii dei Patrizi, e distinti personaggi del Laicato si affrettarono a darci, non appena si ebbe notizia certa della Nostra promozione a questo Arcivescovado, ben Ci assicurano che la Provvidenza divina già Ci ha preparato e fuori di Torino e in questa città, e in tutta l’Arcidiocesi gli aiuti che Ci debbono venire dagli uomini.

Incoraggiati da queste testimonianze Noi in primo luogo riponiamo una consolante fiducia nel Nostro Capitolo Metropolitano, in questo venerabile Senato, che per una sì lunga serie di secoli apprestò così valida assistenza ai Successori di S. Massimo, e dal quale uscirono in ogni età tanti Vescovi e Prelati che e nel Piemonte e in altre parti d’Italia fecero fiorire la religione e la disciplina ecclesiastica. Quivi sono i Nostri primi Consiglieri, quivi è il primo appoggio del Nostro braccio, quivi il primo splendore della nostra Cattedra. La quale fiducia, come è troppo giusto, riposa dapprima nel Capo di questo Corpo sì rispettabile, cioè in quel degnissimo Personaggio tipo d’ogni virtù sacerdotale, ed insigne per la sua ammirabile bontà di cuore, a cui quasi tutti gli ecclesiastici dell’Arcidiocesi sono debitori di molti benefici, ed il quale sia nella vacanza che precedette l’episcopato del non mai abbastanza compianto Monsignor Riccardi, sia in questa che seguì quell’immaturo e così meritamente deplorato decesso, governò quest’Arcidiocesi con ogni prudenza, vigilanza ed affezione paterna, Noi, che dalla fanciullezza (e ce ne torna quanto mai soave la memoria)