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a Cartaio recar la portentosa
caritá d’un vivente.
Egli, compiuto
quel divin suo disegno, apre all’affjnno
di genitor la mesta anima alfine,
575e la sua Cora nel paterno amplesso
preme a lungo e sospira.
Ahi! di Leucippo
segno o nuova non giunge, e il quarto sole
sull’Imcra tramonta.
Odesi un grido.
580No, non è inganno. E di Leucippo il nome
tristamente è profferto.
Il giovinetto
eccolo. Ahi! vien, ma non coi forti passi
della sua vita. Il portano su denso
letto di frasca di Terón gli schiavi.
585Tcrón niedesmo e un punico vegliardo
gli st ilino a’ fianchi. Come sasso immota,
Cora lo guarda, e due gelate stille
spande da’ vitrei lumi, unico segno
del Tesser viva. 11 vincitor d’Intéra,
590Ielón, piangea.
Ruppe i silenzi il sire
di Girgenti:
— Ielone, accompagnarti
volli io medesmo il tuo guerrier. Scemato
ben è di sangue per le illustri piaghe;
ma vive, e forse non morrá. —
Quel detto
595riscosse Cora, c suH’amata salma,
il dolor col pudor ricompensando,
tutta lanciossi. E la pia madre insieme
que’ suoi due cari, lacrimante, al seno
premea.
Terón continuò:
— Sospinto