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— In questa siepe. Allunga
la nivea mano a quei due muschi: or vedi
il fil vermiglio che su lor si piega?
50Tu l’hai giá còlto. Addio. —
Cosí disparve
Diana madre, e il satiro le ciglia
slegò dal sonno.
Il glorioso intanto
Apolline di Frigia era nel vivo
pensier della fanciulla affigurato;
55della fanciulla, che tenea giá chiuso
il filo d’erba nella rosea bocca
E, veduto il caprigena levarsi
colle forme di Febo ed assalirla,
sparso d’un lume che parea celeste,
60gli cascò nelle braccia.
Ahi, breve inganno!
ma breve, ahi quanto e lacrimabil sempre!
ché, mentr’ella sentia nel grande amplesso
perir di sua virginitá la rosa,
ed insana l’obblio dell’universo
65in un bacio d’amore iva suggendo,
le fuggi dalle labbra, incustodita,
la magica erba. Un gemito ella mise,
gemito orrendo, a contemplarsi avvinta
col mostruoso iddio. Nelle pupille
70senti nuotar la moribonda luce.
e piú non vide né il lascivo amante,
né il bel riso de’ cieli.
Ivi, sui muschi,
dormi la dolce estinta insin che il raggio
di Febo, il raggio che si mal le piacque,
75vesti, morendo, di purpureo lume
la nivea spoglia; e, quando umide a valle
calaron l’ombre e la falcata luna
posò sui monti, alla funerea gleba