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che non il Tebro, ereditá di Giove,
il piú ignoto ruscel delle mie valli.
80Oggi, affranto le membra e misto il crine,
me condusser le Parche alla fatale
cittá d’Ascanio; ed ospite pensoso
odo dalle disfatte are il lamento
dei numi d’Asia, e porto, a quando a quando,
85sul Gianicolo sacro o l’Aventino
l’alte malinconie del di che fugge.