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CXI

GALATEA

Pigmalion, nello abbracciarti in pietra,
spirar ti fece, e, Galatea, tu vivi;
e te le verdi selve, e i glauchi rivi,
e il purpureo nettuno, e il candid’etra,
e te chiaman del pari Ida e Libctra,
e le vergini flore, e i fauni divi,
e il romano pomerio, e i templi argivi,
e il grande Olimpo, e di Marón la cetra.
Augelletto non canta in questi rami,
non mormora ruscel sotto quest’erba,
che te, te sempre, Galatea, non chiami.
Bella, nuda, fuggiasca, il piè stillante,
e fra i turbati salici superba
forse dei baci d’un divino amante.

CXII

DOLOR DELLA MENTE

È un dolor della mente, or che i recessi
del cor son chiusi al contumace iddio,
sebben gli spettri che nell’urna ho messi
oda pianger talvolta, e pianga anch’io;
poscia che ai sogni fuor da me reflessi
tendo le braccia con minor desio,
dir mi convien che, pur mutando amplessi,
è un dolor della mente il dolor mio.
È un dolor della mente a veder tutto
disfarsi al mondo, e non durar che breve
anco la diva luce e il roseo flutto.
Forse il pensiero è fior, che un vento lieve
riporta ai numi: se cader distrutto,
dopo visto l’Olimpo, anch’ei non deve.