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CIII

NINIVE

Adhuc quadraginta dies.

Il vaticinio dei quaranta soli
esce dal labro al pallido profeta;
e frusti enormi d’alabastro e creta
son della eversa Ninive le moli.
E or qui sui vespri, come Iddio decreta,
aprono le trecento aquile i voli;
e, se non gemi, di che gemer suoli,
a veder tanta gloria e tanta piòta?
I magi e i re della cittá diversa
sparvero; e in pugno poca polve io stringo:
sogno l’arpe dell’Asia, e non le sento.
Tutto un mondo peri: solo attraversa
le rosse lande l’arabo ramingo,
e sparge l’inno della morte al vento.

CIV

E UN ALTRO

E un altro va nella regione oscura,
e piú non torna a riportar novelle:
cosi il regno dell’Orco e delle stelle,
ignoto ai vivi, eternamente dura.
Quello spirto ove andò? quella figura
com’è scomparsa? in sotterranee celle
c’è un prigionier che aspetta? o fuor da quelle
c’è una spoglia che ornai si trasnatura?
Signor, né gli astri né le tombe un solo
detto han proferto; e il mio pensier non s’alza,
quest’ombra morta a superar col volo.
Signor, parlale: i vani spettri io vedo,
ma le cose non so. L’ora m’incalza.
Signor, parlate: io m’inginocchio e credo.