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LVII

SU L’ALTO

Mcntr’io su questa scheggia orrida siedo,
sale Febo solingo il firmamento:
morta intorno è la selva, e morto il vento,
o il vedere e l’udir piú non possiedo.
I corni de’ pastor squillano, io credo,
laggiú nel pian; ma gli echi io non ne sento:
snoda il fiume la sua riga d’argento;
ma un candor senza moto, altro i’ non vedo.
Fu man le gomme del silvestre pino,
stride il falco da’ sassi; ed io domando
a la Pace infinita il mio destino.
E mi risponde: — Il tuo destin lo sai:
su l’ala eterna del pensier vagando,
cercarmi sempre e non trovarmi mai. —

LVIII

DOPO IL NAUFRAGIO

Dopo il naufragio le reliquie orrende
restituisce al lido il mar dell’acque:
ma il mar degli anni, aimè, nulla a me rende
di ciò ch’è naufragato e un di mi piacque.
E a quando a quando se nel cor mi scende
qualche segno o sospir di ciò che giacque,
è alato venticel, lume che fende
la densa notte, melodia che tacque.
O mar degli anni, un giorno io dal tuo grembo
trassi perla o corallo, e sul tuo flutto
varcai da re senza timor del nembo.
Or misuro la sabbia a passi tardi;
e, pellegrin dal mondo e stranio a tutto,
son d’un naufrago l’ombra a chi mi guardi.