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VII
IL MIO PRESENTIMENTO
A notar che ogni di batte piú lento
il core a me nel solitario petto,
e, piú che posa il mar del sentimento,
mi s’illumina il ciel dello intelletto;
a veder che piú viva ogni momento
m’arde la fantasia, tremo in sospetto
d’esser la face che al picchiar del vento
l’ultimo lampo suo manda piú schietto.
E ben esser potria che, pellegrino
da qui piú sempre, per fuggir di soli,
io fossi ad altri padiglion vicino,
piú palesi al pensier, quando si spezza
l’urna che il chiude. Ma, comunque voli
l’ora al quadrante, ni’è il cantar dolcezza.
VIII
FANCIULLO E FANCIULLO
Come per gioco d’incantati vetri
nel luminoso circolo una strana
vede passar succcssion di spetri
il parvolo, e di lá non s’allontana
sin che tutti i sembianti, ameni o tetri,
non sieri trascorsi; e alla parete vana
pur fisa il cupid’occhio, e par che impètri
riveder tuttavia l’opera arcana;
e, tornato col babbo o la nutrice,
pur sospirando, nelle chete soglie,
ai fratellini il suo pensier ridice;
cosi fa l’uom d’ogni beato errore,
fanciullo aneli’ei, che mal se ne distoglie,
e, in altrui raccontarlo, invecchia e muore.