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Dal vel, die mi nasconde,
mormoro austeri carmi;
ma sorrido da madre a chi mi cerca.
Stolto chi il lin mio sacro
55con empia man rimove,
o, per vigilie macro,
da me sogna strappar quel ch’è di Giove.
Né il pallid’Orco informe,
nè il vago Olimpo mi fu chiuso a spalle;
60ma per lo doppio calle
meno chi sa, non chi folleggia o dorme.
psiche
Te de’ celesti al regno,
te condurrò ben io,
di lá da questa fulminata stella.
65Ché si placò lo sdegno
del fuggitivo iddio
contra l’ingiuria del la mia facella.
Amor dell’universo
mi stampa e mi figura,
70e parlo con chi dorme e non mi sceme.
Parlo; e nel lin mio terso
lo chiudo, e dalla scura
notte lo levo nelle plaghe eterne.
Casta son io: ben vedi
75come dai fiori emergo.
Fratello, i santi piedi
non maculiamo in questo basso albergo.
Di lá giá non s’arriva,
fratei, che sulle bianche ale di Psiche.
80Alle dolcezze antiche
torniam, fratello, e alla gioconda riva.