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Quel ben, che Dio m’ha dato,
fortuna e Tuoni m’han tolto;
ma il tristo mondo e il fato
20son uso a sopportar.
Sulle vetuste carte
piego la mente e il volto,
e tra il silenzio e l’arte
d’esser piú mio mi par.
25Torno di Mambre ai calli,
seguo Mosé dal Sina,
lá tra le greche valli
scontro i trecento ancor,
pugno con Tarmi anch’io
30in Lcutra e Salamina;
e di mia gente oblio
il querulo stridor.
Tu inceppi il corpo egregio
in rabescata veste,
35gloria, te morto, e fregio
ai muri del castel;
io facile mi stendo
in larghe giubbe oneste,
che logore poi vendo
40al figlio d’Isracl.
Tu se d’illustri dame
ardi al superbo riso,
spesso le fatue brame
collochi in fatuo sen;
45io, quando l’ombra è densa,
a un lumicin m’affiso,
e so che lá si pensa
ai di fuggiti almen.