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canto quinto | 65 |
La disperata madre
stese le braccia; ma li strinse Arrigo
forte sul petto, come per salvarli
da quell’amplesso.
— Sono miei! Non sono
190d’altri che miei! Partitevi: alle vostre
gioie fate ritorno; e non turbate
questa dimora ove obliar si tenta. —
Cosí dicendo, e accortosi che i figli
eran vicini a rannodar le sparse
195reminiscenze dell’amato aspetto,
li strappò seco; e si perdea nel vuoto
aere il romor dei concitati passi.
Quella larva s’alzò; segno non fece;
non proferse parola; uscí piú ratta,
200qual s’ella avesse il suo vigore antico.
Gelido un riso le movea dai labbri;
sotto l’urto precipite del sangue,
non vedea piú le cose; e camminava,
camminava convulsa e strascinata
205da un’orribile idea.
Vide una striscia
d’acque terse e lucenti. Era il canale,
la mèta sua. Con un’ebbrezza intensa
girò lo sguardo, misurò quell’acque,
doppiò le forze, si cacciò sull’orlo,
210v’inarcò la persona... e giá il mortale
tratto mancava. Quando ai disperati
occhi una luce balenò; dischiusa
vede una bianca soglia; ode un soave
salmodiar di voci; un infinito
215scoramento la vince; una speranza
vien come lampo: quel disegno orrendo
torna, cede, rincalza, è dileguato!
Inneggiate, o celesti! Elia è nel tempio
col suo dolce Pastor l'agna perduta;
G. PRATI, Poesie
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