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16 i - edmenegarda

dal core offeso gli suonâr parole
85sino allor non proferte.
— E cieca or tanto
fatta sei tu? Veder ne lo potessi
sotto i vecchi palagi, com’io’l vidi,
passeggiar sorridendo! Egli divora
tutte degli occhi queste nostre donne,
90e, immemore di te, forse possiede
nel suo vil desiderio altre sembianze,
che un raggio, un’orma della tua non hanno.
— Leoni, è tempo di tacer!
— Non anco,
Edmenegarda! Lasciali i rimorsi
95a lui, che vola a comperati amplessi,
e svergogna così questo suo dono
non meritato dal Signor! —
Le guance
d’Edmenegarda in una calda fiamma
si tramutâro.
— Ascoltami, Leoni!
100Tu menti; è vano il dubitar; tu menti!
Deh, così basso non cader! Non farmi
piú pesante la colpa! Almen mi lascia
questa alterezza, che in vulgar persona
io non locai l’affetto. Intender tanto
105non credea dal tuo labbro. Arrigo è fiero,
Arrigo mio, piú di quant’altri alberga
la vostra Italia. Ei non sapria macchiarsi
di gelose menzogne. Egli, il mio sposo,
pria di mentir, morrebbe. Or via, mi guarda;
110gli occhi ho pieni di lagrime!... Sei pago?
— Edmenegarda! Se le atroci ambasce,
che mi schiantano il cor, le risentisse
una fragile donna, ella sarìa
sepolta giá. Dissimular che giova?
115voi l’amate, l’amate!