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| di angelo poliziano | 53 |
Via la preda recando alto nell’aria,
Con un sarchiello nella man va dietro170
E le porche ribatte il giovin figlio.
Ma non sí tosto, abbandonando i flutti
D’orïente, si levi in su la sera
L’astro d’Arturo; non appena il suolo
Esulti lieto di novelle fronde175
Varïopinte, e d’erbe iridescenti
Verdeggi tutto, ed a noi rieda alfine
Dal suo consorte getico secura3
La rondine sollecita, ed il nostro
Tetto festevolmente risaluti,180
Al lavoro di nuovo egli ritorna,
E, sul bure gravando, i nereggianti
Novali fende con l’adunco aratro,
I quali bruceran torridi soli
E algenti brine. Subito che il gelso185
Sapïente cominci a metter fronda;
Et praedam sublime ferant, it pone minutus
Sarcula parva tenens puer, et frugem obruit arvo.
At cum se eois jam vespertinus ab undis
Extulit Arcturus, cum versicoloribus ardet115
Terra comis, rutilosque interviret herba colores,
Daulias et getici tandem secura mariti
Ales adest, plausuque larem cantuque salutat,
Rursum invadit opus; stivaeque innixus, adunco
Pone nigrescentes proscindit dente novales,120
Quas rapidi soles urant gelidaeque pruinae.
Mox ubi jam sapiens coepit frondescere morus;
