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che, dopo il suo primo libro su Tacito, nel quale osservava ancora «l’orditura degli intricati periodi», adottò, si disse che fosse attinto agli esempi del francese Pierre Mathieu o Mattei e dell’italiano Giambattista Manzini1; ma veramente, sebbene gli si pervertisse poi in maniera, si confaceva alla sua forma mentale. Non risplendevano le sue scritture per proprietá e purezza di stile e di costrutti, e, piú forse di altri scrittori italiani del Seicento, egli, che scriveva anche in ispagnuolo, frammischiava al suo italiano vocaboli e modi spagnuoli. Pure, molte delle sue considerazioni, tratte fuori dai quadri barocchi degli pseudo-racconti nei quali le ha collocate, scelte di tra le molte che ora riescono di scarso interesse e sembrano ovvie, sono degne a lor volta di essere considerate: e per tal ragione è parso opportuno presentarne qui una piccola silloge.

  1. Zani, Mem. cit., p. 386; e pel Manzini efr. anche Frugoni, l. c., p. 209.