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264 virgilio malvezzi


ben senza ragione; ma la fortunata l’è sopra. Vale piú un impulso della natura, che va sempre al vero, che un motivo dell’intelletto, che discorre pei verisimili; e, se quella erra, è perché taluno, non discernendo tra la nostra e la universale, crede impulso superiore alla ragione quello che è senso, quasi che muovano nello stesso modo i sensi e il Cielo. Altri, troppo confidati del proprio intelletto, stimano per mancamento alla parte inferiore tutto ciò che dissuona con la superiore: come se non ve ne fosse una suprema, la quale giá non conoscono, giá impediscono le piú volte, errando per tema di non errare. È troppo difficile a questi lo scordarsi d’aver l’intelletto, a quegli il discernere gl’impulsi della natura non errante dagli stimoli della corrotta (A., 168-9).

XIII

Il mezzo e l’estremo: la prudenza e l’ispirazione.

Il popolo opera col senso, che conduce sempre al vizio. La ragione è quella che incammina alla virtú. Ma si come il popolo, assuefatto al senso che va dall’estremo all’estremo, corre ne’ consigli con la stessa qualitá, cosí i savi, assuefatti dalla virtú ad andare al mezzo, seguono anche nei consigli l’istesso cammino. E perché non sempre il parere di mezzo è quello che s’ha da pigliare, né tampoco sempre l’estremo, erra alle volte cosí bene il savio, quando ha bisogno di pigliare l’estremo, come il popolo, quando ha da pigliare il mezzo. La politica, che mette sopra il mondo, confonde tutte le morali. Muta loro talvolta il luogo, talvolta anche l’essenza. Fa essere vizio nel re quello che in altri sarebbe virtú. Un filosofo metafisico non vale nella republica. Nei tempi di bonaccia vi navigherebbe bene il morale; nella tormenta, si perde. È un’arte da perso la politica: non vi è chi fino ad ora l’abbia imparata. Molti sanno fare quello che s’avrebbe da fare: nessuno quello che s’ha da fare. Chi non conosce i movimenti della fortuna, non è buon politico. Chi gli conoscesse, conoscerebbe Iddio. Non si vede in faccia