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260 virgilio malvezzi


arditi, onde avviene che quelli che sono i piú savi non sono sempre i piú coraggiosi? La bravura (e me ne rimetto ai piú dotti) è quasi una spezie di pazzia, consistendo forse in un riscaldamento di cervello che non lascia discorrere sopra il pericolo della morte. Chi nel combattere pensa di dover morire, non può combattere con ardimento. E benché il forte sia definito dai filosofi per colui che, conoscendo i pericoli, gli va ad incontrare pel giusto e per l’onesto, crederei nondimeno che questo si dovesse intendere innanzi che entri nel pericolo, perché, se in quel punto che vi è entrato lo conoscesse, diventerebbe vile (D., 39-41)

VI

Passioni, vizi e virtú.

L’animo ancor egli si serve dell’ira per la fortezza, dell’ambizione per la magnanimitá; e pur l’una produce il temerario, l’altra il superbo. Quell’angustia d’animo, che cagiona l’avarizia, dilatata serve alla parsimonia. Da quella larghezza di petto, di d’onde s’origina il prodigo, un poco ristretta, nasce il liberale. Infine, cosí fatti umori del corpo e cotali passioni dell’animo, che apportino utile o pure cagionino danni, consiste nell’essere sregolati o regolati, quelli dalla natura, queste dalla ragione. Dal servirsi sovente del medesimo umore per la virtú e pel vizio, avvenga che in diverso modo, nasce che molte volte l’ignoranza s’inganna e la malizia confonde il vizio e la virtú, chiamando liberale il prodigo, forte il temerario, magnanimo il superbo (C., 322-23).

VII

Impossibilitá di toccare gli estremi.

Che gli uomini non siano del tutto cattivi e del tutto buoni non è forse perché non sappiano, ma perché non possono essere: è piú tosto forza della natura che della volontá. Se ella