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I

L’amore di se stesso e della virtú
come il vero se stesso.

L’amicizia, benché paia senza interesse, non è però del tutto senza interesse. Quell’affetto, che portiamo a noi stessi, è la regola di tutti i nostri affetti. Chi ha creduto che l’amico ami altri piú di se stesso, si è forse ingannato; e, se talvolta perde la vita, la roba e lo stato per l’amico, non è perché egli desideri piú bene altrui che a se stesso, ma perché egli non conosce per beni altro che quelli della virtú, e questi si acquistano quando precisamente per l’amico si perdono quelli della fortuna. Il vedere lasciare le ricchezze, lo stato, la vita per l’amico ha fatto credere che si ami piú di se stesso a coloro che amano piú la ricchezza, lo stato, la vita che la virtú. Io non sono mai stato d’opinione che l’amare se stesso piú degli altri sia imperfezione, anzi ho creduto imperfezione il non amare se stesso piú degli altri. Chi non errasse in questo, non peccherebbe, perché chi pecca, distruggendo Iddio per quanto ei può, distrugge per quanto ei può se stesso, mentre che il bene di se stesso dipende da quello di Dio (D., 97-8).

II

L’equalitá e il sapiente.

L’equalitá non solo è giudicata una dote del sapiente, ma è anche un segno d’esserlo, quando quello lo sia che domina le stelle. Se un cielo, nei suoi movimenti, instabile sopra noi