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dal «tacito abburattato» 229


cipi son le iridi del mondo, tra perché, tirando a sé le luci tutte de’ mortali, paion veramente figli della maraviglia, e perché la lor grandezza è un cotal mezzo, il quale sembra posto a collegar le eteree cose con le terrene: onde in quella guisa, che dall’iride i vagheggiatori solo di color bugiardi sono pasciuti, il cortigiano parimente vien dal principe ricompensato sol di apparenza. Cosí l’ammirabile Ariosto fa da schifo nano offrire al buon dottore quel bellissimo palagio, tutto finto paradiso a forza sol di vero inferno, acciò di sottoporsi ad un bruttissimo patire egli non rifiuti. Presta pur tu dunque, o favorito mal condotto, fede a quell’affetto, che ti mostra il tuo padrone sol per sottoporti ad ignobil soma: egli è appunto come rosa, che, per testimonio di Plutarco, è tutta fredda, benché rappresenti alla sembianza non so che di fuoco, mercé il debol suo calore, che cacciato dalla naturale sua freddezza, nella superficie delle foglie fugge a nuotare. Ti avvedrai ben tosto ch’egli di te si vale, non sí come amico, ma sí come mercatante, confermando il bel pensier di quell’Oronte, che alle dita assomigliava i regi amici, con le quali or mille or uno suol computarsi. Guarda or tu, s’egli è segnale di amicizia l’esser peggio di ogni vil buffone in modo tal balzato, che or sí numerosa quantitade t’ingrandisca, or tutto a un tratto un repentino scemamento quasi quasi ti faccia un zero. E se quelle fervide svisceratezze ti si danno a creder nel principio della tua privanza per fedeli prove di una grazia posseduta sinceramente, applica al tuo caso quel che dice Seneca a quei crapuloni, che si lasciano abbagliar nel giudicar de’ cibi dalla lor vaga apparenza quando vengono al principio in tavola. Non gli contemplar quando fumanti compariscono alla mensa. Exitum specta. Cosí ancora: vuoi conoscer di qual tempra sia la grazia, che si viva ti comparte il principe? Non la giudicar da ciò che ti rassembra adesso sul cominciare. Exitum specta. Che dirai quando conoscerai, ch’ella è come un de’ giorni indiani, che sol nell’aurora sono fervidi, non nel meriggio? Ti fia forza il confessare, che se falso è un appetito, che si avventa ingordamente al cibo, ma tantosto a’ due bocconi sviene, falso ancor sia quell’affetto, che, con un